martedì 8 ottobre 2013

C’è un po’ di Tafazzi in ognuno di noi

A cosa pensiamo quando ce le tiriamo addosso da soli? Vi è mai capitato di farvi a posteriori questa domanda? Perché è evidente che l’allarme interiore ci stava urlando di fermarci ma lo abbiamo ignorato alla grandissima. Di certo quindi avevamo un altro motivo, probabilmente inconscio, che ci ha spinto a continuare nella nostra direzione autodistruttiva.
L’avete mai notato? In genere tali autogol sono assolutamente inutili, evitabili e irrilevanti se non per l’aspetto dannoso e autolesionista.
Facciamo un esempio.
Parliamo della Barilla (ebbene sì, anche io!) e dell’uscita ‘infelice’ avuta dal pronipote del fondatore durante l’intervista con Cruciani.
Per prima cosa c’è da dire che se ti ritrovi sotto il torchio (anzi, citiamolo: il tritacarne) di Cruciani non puoi sperare di uscirne indenne; magari ti sbuccerai solo le ginocchia, ma un po’ di sangue finirai per versarlo. Secondo, l’uscita era sì infelice ma voluta. Perché la risposta tafazziana è stata la seconda, quando quella vecchia volpe di Beppe ha voluto approfondire una frase che altrimenti sarebbe potuta evaporare tra le pieghe del ponte radio: “senza disturbare gli altri”. Certo è che se Cruciani se la fosse lasciata sfuggire, non sarebbe più stato degno della sua fama.
E così, alla richiesta di spiegazioni, ‘lo sventurato rispose’.
Avrebbe potuto accendere il cervello e svicolare, gettare acqua sul fuoco, recuperare l’amo prima che il pesce (lo squalo) abboccasse (pappandosi tutta la barca). Ma non è stato così. Quasi con una punta di orgoglio, Guido Barilla ha voluto spiegare cosa intendesse per e perché per la sua azienda preferisse la famiglia tradizionale (trascuriamo il concetto di ‘tradizionale’ applicato a un sex simbolo gay che convive con una gallina).
E’ assolutamente inutile che cerchi di spiegare perché il patron di Barilla abbia profondamente torto, non solo per quella che potremmo osare chiamare una legge naturale che da sempre ammette l’omosessualità nel regno animale, ma a fronte delle centinaia di esempi di famiglia che tradizionalmente esistono non solo in Italia e che non corrispondono per niente al Mulino Bianco. In più il tempismo sembra perfetto per farsi del male, considerato lo ‘strappo nel cielo di carta’ che oramai si sta allargando, rivelando quanto la realtà di ‘famiglia’ al giorno d’oggi comprenda le più svariate possibilità, tutte valide, tutte degne (perché solo l’amore è ciò che conta). La società ne sta prendendo coscienza adesso, questo è il momento della rivoluzione gay, adesso le coscienze si stanno svegliando e il mondo occidentale capisce che abbiamo vissuto nell’ipocrisia.
Se Guido Barilla avesse fatto le sue esternazioni trent’anni fa, non si sarebbe sollevato tutto questo polverone. Purtroppo.
Invece lui le ha fatte adesso. Di più: le ha volute fare, ha proprio scientemente deciso di bastonarsi in pubblico. La domanda è: perché?
Ci possono essere molte risposte e credo che siano un po’ tutte valide:
-          Si odia per qualcosa e segretamente vuole punirsi;
-          Odia la sua azienda ma non sa come uscirne e sta cercando di farsi buttare fuori;
-          Vuole sfidare il mondo per mettere alla prova il suo pensiero nel quale crede (ognuno ha diritto di pensarla come vuole, senza disturbare);
-          È un po’ ingenuo e non si è reso conto che oramai la società sta accettando la realtà delle coppie omosessuali;
-          Non sa cosa sia una strategia di marketing;
-          Temporanea infermità mentale.
Tra queste possibilità, mi soffermerei sulla prima, perché credo che sia quella che ci accomuna tutti quando perseveriamo in una cazzata pazzesca: vogliamo punirci. Se veramente concordiamo con la vocina interiore che ci sta dando dei coglioni, perché la ignoriamo? Non vedo altro motivo che l’autolesionismo, un Tafazzi senza conchiglia insomma.
Vogliamo parlare di Crimi? No, dai, no.
E gli esempi illustri sono moltissimi, quindi chissà quanti sono quelli meno illustri.
In quanto bionda posso dire di avere dalla mia il vantaggio che generalmente non mi ricordo a lungo le cose e dunque anche tutte le cavolate che faccio, con la conseguenza di una vita abbastanza serena ma anche una scarsa capacità di imparare dai propri errori e di fatto ripeterne alcuni considerandoli nuovi (che è bellissimo quando rileggi un libro, ma nella vita è un po’ un casino).
Come possiamo salvarci da noi stessi?
È semplice: non possiamo. A meno di cambiare e riuscire a trovare quell’equilibrio interiore di cui parlano i santoni buddisti (ma allora serve la grotta, il digiuno, la meditazione, la povertà, tutte cose estremamente fastidiose). La verità è che non possiamo allontanarci, né smettere di interagire con noi, né escluderci dalle nostre decisioni, né troncare ogni rapporto. Noi siamo dentro di noi; come dice quel pazzo drogato, ma profondissimo, di Stacee Jaxx: “Io ci abito qui dentro”. Bisogna trovare un compromesso.
Per adesso tutto quello che riesco a fare è volermi un po’ più di bene, in modo da ridurre la frequenza delle volte in cui desidero inconsciamente fustigarmi in piazza, e cercare di sbattermene le gonadi se qualche volta me ne esco con esternazioni alla Barilla, seguendo l’insegnamento della più grande saggia mai descritta nella letteratura moderna nazional popolare, che disse la ben nota frase: “Dopotutto, domani è un altro giorno!”.

mercoledì 4 settembre 2013

Tette. Un quesito per uomini veri.


No, vabbeh, sarà che sono donna, ma cosa avranno mai poi di così affascinante le tette? Parliamoci chiaro: son due robi mollicci e ballonzolanti (tutte le tette vere ballonzolano, a meno che non siano un abbozzo adolescenziale delle stesse), spesso asimmetrici, talvolta pelosi (ma si può provvedere).
Vogliamo parlare del dolore?
Hé sì, i signori maschi probabilmente non lo sanno, ma in particolari periodi e, se maldestramente manipolate, praticamente sempre, le tette dolgono. Fanno male. Come un livido.

Quindi?
Cosa vi affascina di questa parte anatomica? Che è morbida? Come i lardellottoli di ciccia tra ascella e gomito, cavolo, ma di quelli non ve ne frega nulla (a meno di perversioni particolari).
Che è rosa? Come il palmo delle mani, di cui idem, non vi frega un gran ché.
Che ha una zona più scura in mezzo con un ponfetto? Tipo il morso di una zecca?

No, sul serio, davvero, aiutatemi a capire. Perché io posso anche fare un paragone per cercare di spiegarmi la cosa, ma è un’impresa ardua. Se per esempio le paragono alle palle, i vostri sacchettini di pelle scrotale, non abbiatene a male, ma mi vien tristezza! Perché devo confessarvelo, a noi le palle fanno un po’ senso. E anche il birill(ino/one)o centrale ci piace poco, esteticamente. Quando vi diciamo il contrario – sempre se siamo sincere – è probabilmente perché ne stiamo immaginando l’utilizzo, più che la forma in sé.

Ma lo sapete quanto sono fastidiose le tette?
Parliamo di una media dimensione, diciamo una terza coppa C (una a caso).
Quando corri, saltellano tirando la pelle. Se sei sportiva e cadi in avanti, si schiacciano con dolore. Se sudi si arrossano sotto. La cintura dell’auto le irrita. Se provi a lasciarle libere in una camicetta larga, il capezzolo sfrega e la paghi per giorni. A volte trovi la magliettina della tua vita ma o è troppo scollata o le tette la tirano in su e ti lascia scoperta la pancia.

Vogliamo parlarne?
Anche no. Ma son problemi!
Noi ci consoliamo pensando che:
a)      così è la natura;
b)      a voi maschi piacciono, possiamo usarle per ottenere qualcosa.
Una volta ci guadagnai 25 punti da un distributore di benzina, per ottenere il tostapane omaggio.

Da non credere poi che ci siano donne che se le fanno finte. Certo, i motivi possono essere svariati, non esclusa la malformazione, la asportazione o l’asimmetria, tuttavia per me resta un assurdo vedere donne che se le gonfiano come palloncini di compleanno e poi se ne vanno in giro tutte contente.
Non credo che si vedano belle in sé, penso piuttosto che ricerchino spasmodicamente l’approvazione altrui. Perché due tette da settima non naturali sono veramente una cosa atroce, esteticamente parlando.

In verità io sono un’integralista e per me tutte le tette finte sono un’aberrazione. Rispetto chi se le rifà per i motivi medici di cui sopra, ma preferirei mille volte la versione naturale, se possibile, anche se di una o due taglie inferiore. Ma è lo stesso ragionamento che potrei fare per i denti, per le sopracciglia, per i capelli!
Il busillis è: cos’hanno le tette di tanto speciale?

E non mi rispondete che strizzate nel pushup sembrano un culo, perché non me la bevo. Non si riservano tutte queste attenzioni al culo, e non si è mai sentito di un surrogato che vende di più dell’originale.
Quindi il dubbio resta.
Fatemi capire.
E visto che sono bionda, usate parole semplici.
Grazie.

mercoledì 17 luglio 2013

Prospettive grammaticali

“Non hai mai sbagliato se non hai mai preso l’iniziativa”.
Gran frase. Ma che vuol dire esattamente?

Premetto che, come avrete già capito, a me piace spaccare il capello in quattro, fare la punta alle matite, sviscerare lo sviscerabile. E sono un fantastico avvocato del Diavolo, anche se al momento non ho mai riscosso parcella.
Il senso della frase suddetta dovrebbe essere un incitamento a prendere l’iniziativa fregandosene degli errori, perché non sbaglia mai solo chi non agisce (con l’implicito giudizio negativo sul fatto di non aver agito). Dove l’ho letta? Non lo confesserò mai nemmeno sotto tortura ma era sul profilo di una persona che l’aveva scelta come frase che la rappresentasse e che fosse un biglietto da visita d’effetto per gli altri. Ok, magari sotto tortura lo confesserei.

Chi ha già capito l’inghippo?
In verità, scritta in quel modo, la frase significa: prendere l’iniziativa comporta uno sbaglio.
O_O

Tutta questione di prospettive, sottili, bastarde prospettive.
E ce ne sono a migliaia di errori di questo tipo, ovunque. Trovo che i più carini provengano appunto dalle frasi ad effetto delle presentazioni, assomigliano alle scivolate da star sul tappeto rosso. Mi piacciono proprio, forse perché sono un po’ stronza. Ok, molto stronza.
Ma anche sui quotidiani, in quegli articoli che nessuno rilegge, e nelle inserzioni.

Nella mia famiglia è usanza collezionarle.
“Si realizzano lettini per bambini di ottone”
“Si fanno borse con la pelle dei clienti”
“Fallo in penetrazione”
E così via.

Una volta credevo che certe gaffes fossero semplicemente tollerate con tenerezza; adesso capisco che – a parte casi eclatanti come i bambini di ottone – la gente manco le vede. Per esempio: “Ci sono i virus del raffreddore e dell’influenza. Oltre ai virus mortali, ci sono anche virus che generano semplici malesseri”. Capiamo che i virus del raffreddore e dell’influenza sono mortali, giusto? Ditemi che anche voi capite questa cosa! Mentre il senso era l’esatto contrario.

Se Nanni Moretti urlava che le parole sono importanti, io vi dico che anche l’ordine delle parole è importante. E le virgole.

“Ibis, redibis, non morieris in bello” non è la stessa cosa che “Ibis, redibis non, morieris in bello”!
E chi non sa il latino, cazzi suoi, studiate! (Se non lo uso per ‘sti giochini, a che mi è servito sputarci sangue per cinque anni?)

Perché? Cosa spinge il genere umano verso questa accettazione acritica dell’eloquio?
Siamo diventati meno esigenti? Questa generazione se ne frega del senso delle cose? Si è veramente drasticamente abbassato il QI medio? Preferiamo forse non capire o capire solo ciò che vogliamo? Indubbiamente è meno fastidioso non ragionare sul significato reale di una frase, in particolare se poi è involontario. Ma è davvero solo una questione di comodità?

Credo che la vera risposta sia evidente se ci si eleva da questo argomento di basso profilo e si osserva cosa mostruosamente oggi l’italiano medio accetta acriticamente. Altro che l’ordine e il sottile senso delle parole! Da questa prospettiva, ben vengano i bambini in ottone, che non fan nulla di male a parte pesare un’esagerazione.

Se non fossi bionda, mi vergognerei della mia preoccupazione per la deriva del linguaggio e l’indignazione per l’appiattimento culturale. Per fortuna la mia chioma oro mi permette di affrontare ragionamenti futili con pregnante serietà. E incattivircimi pure.

Come un gatto arruffato sotto la pioggia.

venerdì 21 giugno 2013

La vita è uno ZOT!

Un lungo silenzio non mi si addice. Chi ha il (dis)piacere di conoscermi sa che non sono il tipo che tace o che scompare senza un perchè, rinunciando a dispensare saggezza ai plebei. Eppure, anche io questa volta ho dovuto cedere andando contro la mia logorroica natura.
La verità è che non puoi davvero fare programmi nella vita, o meglio, tu falli pure ma la realtà può in qualsiasi momento mandare tutto all'aria e costringerti a un nuovo gioco.

Il bello è che non ti annoi mai. Il brutto, che di questi giochi non sai mai le regole, che spesso non esistono. Per questo motivo io cerco sempre di non farmi cogliere impreparata e per quanto possibile mi depilo ogni giorno e porto con me un pettine.

Eppure, si rimane sempre stupiti da quanto incredibili e repentini siano i cambiamenti.

Due settimane fa avevo un'altra vita, ero un'altra persona.
(No tranquilli, non mi sono fatta bruna nè rapata a zero...)
Due settimane fa avevo dei progetti per le vacanze, per lo sport che volevo praticare, per lo svago, che oggi non esistono più e sono stati sostituiti da altri, nello spazio di pochi secondi.

Come diceva Beppe Grillo (ai tempi quando ancora cercava solo di far ridere)? La vita è una tempesta ma prenderla nel culo è un lampo.

Scena: il mio suddetto culo è poggiato sulla sella della mia moto, sono in mezzo alla campagna toscana e sto guidando con alcuni amici verso l'appuntamento al ristorante dove mi attende l'uomo che adoro, insieme a una massa variopinta e pittoresca di altri figuri motorizzati, con cui fare casino fino all'alba per due giorni. Sono felice, indipendente, serena; ho portato anche un vestitino sexy da indossare il sabato sera e intravedo la possibilità di tanta ginnastica da camera sana e appagante.
La strada davanti a me è dritta come un fuso, totalmente sgombra, c'è il sole, piena visibilità e non sto andando a più di sessanta all'ora perchè sono in terza (48 cavalli, va bene?!).

C'è solo un apecar. Un piccolo, lentissimo, insignificante apecar che le moto che mi precedono hanno appena sorpassato.

Sono libera e felice. Apecar. Piena visibilità. Apecar rallenta. Allargo per il sorpasso. Apecar quasi fermo. Sto superando l'apecar. Apecar svolta a sinistra in una azienda agricola.

Non sono in grado di riprodurre la sequenza di improperi che si sono materializzati tra le pieghe del mio cervello, mentre cercavo di voltare anche io a sinistra frenando al meglio su una strada di campagna ai cui lati c'è brecciolino. Ma era da oscar del turpiloquio.
Ci siamo speronati, nell'impatto la moto si è ribaltata e io sono stata scagliata oltre il ciglio della strada passando tra due cipressi decorativi, che avrebbero potuto decorare abbondantemente il mio corpo, se li avessi centrati. Sono atterrata di schiena su un prato.

Sono stata fortunatissima, nella sfiga. Ho rotto solo la mano destra, schiacciato e scorticato due dita, stirato un tendine della gamba, qualche contusione. Abbastanza distrutto la moto.
E da quell'attimo tutto il mio futoro è cambiato (ma sarebbe potuto cambiare molto di più, intendiamoci).

Niente più finesettimana col mio uomo e con motorizzati figuri pittoreschi. Niente ginnastica. Ma anche: un intervento chirurgico, il gesso, la prospettiva di non poter usare la mano destra per mesi (no, non sono mancina, ovviamente). Non posso guidare, non posso scrivere o firmare, non sono autonoma, non riesco nemmeno a tagliarmi la carne nel piatto e non chiedetemi come faccio a depilarmi (attingo al blond power). Non posso andare a lavorare, non posso fare sport, non avrò una mano destra funzionante almeno fino a settembre e se le unghie faranno il piacere di ricrescere, prevedo la prossima passata di smalto dopo Natale. Non vado più in ferie col fidanzato, perchè mi ha improvvisamente mollato per telefono quindici giorni fa senza che da quel nefasto week end ci rivedessimo. Ma sono viva.

In qualche altro universo quantico sono morta o rimasta paralizzata o in coma. Certo, ce ne saranno anche altri in cui quel cazzo di apecar non esiste, o non svolta. Ma io sono in questo qui e con questo devo fare i conti. Devo guarire dalle ferite, interne ed esterne, prendendomi tutto il tempo che serve. Devo accettare il fatto che sono cambiata. Devo farmi aiutare perchè non riesco più a fare tutte le cose che facevo prima e devo ammettere questo nuovo limite trasformandolo in opportunità (di sfruttamento del prossimo).

Sono bionda, posso farcela.

Ovviamente la prima cosa che ho fissato appena uscita dall'ospedale è stata un appuntamento dalla mia parrucchiera!
(il lupo perde un po' di pelo, ma nemmeno l'alone del vizio)

martedì 2 aprile 2013

Testa la tua biondaggine


Essere bionde è uno stile di vita.
Per come la vedo io, non c’entra molto il colore dei capelli, quanto quello dell’anima. Assomiglia alla teoria del ‘vaffanculo’ di cui ho sentito spesso parlare: un approccio olistico nichilista alle vicende della vita che ti porta a pronunciare spesso la suddetta espressione, come un mantra.

Mi sono chiesta: cosa vuol dire davvero essere bionda dentro?
Al di là dell’essere spassosamente incasinate, fantasticamente variopinte e imprevedibili, dare più ascolto ai propri impulsi emotivi che alla ragione, fare dell’incoerenza la propria coerenza, avere percorsi logici da D&D, devono esserci delle caratteristiche base comuni, dei segni premonitori!

E’ possibile stilare un elenco di atteggiamenti riconducibili alla condizione di biondaggine? E se sì, possiamo usarli come test per scoprire quanto siamo bionde?
(La versione maschile è in allestimento).

Vuoi sapere quanto sei bionda? Se rispondi no, perché sai esattamente qual è la tonalità dorata delle tue ciocche, sei perfetta per questo test.

1. Appena alzata il primo pensiero è valutare se devi legarti i capelli che si possono essere spettinati dormendo. Il secondo è ovviamente verso la fame nel mondo, le guerre e le ingiustizie.

2. La maggior parte del tempo al mattino viene utilizzata per scegliere il corretto abbinamento scarpa, borsa, giacca e umore. Questo per agevolare amici e colleghi, che dal tuo abbigliamento quotidiano possono dedurre come ti senti.

3. Se devi portare con te qualche cosa in più del solito che non entra nella borsa che hai già scelto, aggiungi un sacchetto colorato. Se devi portarne due, due sacchetti e così fino a un massimo di quattro (poi scatta la modalità ‘miserveunaccompagnatore’). Oltre ad essere un metodo pratico per affidare gli oggetti ad aiutanti occasionali, ti rende simpaticamente eccentrica.

4. La tua borsetta è perfettamente equipaggiata per sopravvivere in qualsiasi occasione. Contiene: pettine, salviette, salvaslip, cerotto, smalto per unghie, limetta, pinzette, lucidalabbra, specchietto, fondotinta e/o correttore, fazzolettini profumati, fermagli/elastici, spilla da balia, bigliettini da visita con i riferimenti di prima necessità (parrucchiere, ristorante preferito, fisioterapista figo, centro estetico…), penna, gioielli di ricambio per la sera, gomma da masticare/caramella di menta per l’alito (tuo, ma più spesso di altri)… oltre a cellulare, documenti, chiavi e portafoglio rosa.
E, ovviamente, barbiturici.

5. Quando parcheggi, un posto NON vale l’altro. La gradazione cromatica delle auto accanto e lo stato dell’asfalto davanti alla tua portiera sono determinanti. Lo spazio per scendere, la difficoltà di parcheggio, la lontananza dal posto in cui devi andare sono invece irrilevanti.

6. La tua destrezza è superlativa e ti permette di compiere operazioni che altre persone non sono in grado di fare, come metterti il rossetto in rotonda, sbagliare l’entrata con l’uscita del silos e riuscire a entrare lo stesso, farti riparare la messa in piega dalla pioggia con la giacca di un amico rendendolo felice di farlo, camminare con un tacco 12 su marciapiedi costellati di escrementi guardando il cielo, senza pestarne uno.

7. In ufficio riesci sempre dove gli altri falliscono per il tuo non convenzionale approccio ai problemi; sei simpatica al capo perché non ti accorgi della maggior parte dei suoi difetti; sei simpatica ai colleghi che fanno a gara a farti dei favori; sei simpatica alle colleghe o almeno così hai sempre pensato.

8. Sei affabile. Non ti arrabbi mai al punto che una nuova borsetta di Prada non possa sanare la situazione; nelle relazioni sentimentali chiarisci sempre le priorità (una sera è per le amiche, una per il fisioterapista e al mercoledì c’è Sex&TheCity); ami la semplicità di un mazzetto di fiori di campo regalato d’impulso in un vaso Richard Ginori; quando sei triste ti bastano tre piani d’esposizione di scarpe per ritrovare il buonumore.

9. Non sei multitasking, non riesci a guidare leggendo i cartelli, pensare telefonando, digitare al computer controllando ciò che hai digitato. Ma quando ti dedichi a qualcosa/qualunco, lo fai completamente, con tutta te stessa.

10: I tuoi percorsi neurali sono rallentati rispetto alla media, il che ti comporta qualche disagio, come non collegare i nomi alle facce, dimenticarti ciò che ti hanno appena detto, perdere continuamente il segno quando leggi. Tuttavia, se qualcuno ti dice una cattiveria te ne accorgi dopo, dandogli tutto il tempo di rimediare.

Se ti sei riconosciuta in almeno sei di questi punti, probabilmente la tua anima ha notevoli sfumature caramello. Se invece ti sei riconosciuta in più di sei punti, decisamente la tua anima è bionda.
Se non hai capito bene di cosa sto parlando, sei biondo platino.

mercoledì 27 marzo 2013

Il regalo è la scatola

Apri la scatola del regalo e c’è dentro una scatola. Il regalo è la scatola.
A) fai un bel sorriso, dici grazie, ti segni mentalmente di fargliela pagare con dolore;
B) rimani stupita e chiedi che cavolo è ‘sta roba;
C) ti tocchi.
E magari la scatola è anche carina, magari è una di quelle scatole colorate e costose che non compreresti mai perché ti sembrano uno spreco di soldi, ma l’idea di possederne una qualche volta ti ha sfiorato la mente.

Oppure nella vetrina di un negozio c’è il vestito dei tuoi sogni finalmente in saldo. Costa un terzo del suo prezzo, ultimo modello ultima taglia, la tua. Sul manichino sta una meraviglia, sulle modelle delle riviste è strepitoso. Su di te sembra il grembiulino di carta di Pinocchio smangiucchiato dal cane.
A) fai finta di nulla e – cazzo, costa un terzo! – lo compri lo stesso ma non lo metterai mai in pubblico;
B) gli occhi ti si riempiono di lacrime e lo lasci in camerino;
C) ti tocchi.

In genere io cedo al Lato Oscuro della Forza e scelgo l’opzione C.
Ma per chi non fa come me, c’è qualcosa che gli rovina la giornata e il piacere del godere delle occasioni della vita. Sarebbero le aspettative, queste stronze scassa balle bastarde.

In questo periodo sto preparando le ferie estive. Troppo presto? Non scherziamo! Sto cercando un appartamento a un prezzo decente per due settimane e sembro chiedere la luna. Il mio problema però è che io voglio trovare la casa perfetta, nel posto perfetto, per fare la vacanza perfetta.
Ho tonnellate di aspettative per questo misero intervallo di 15 giorni, che dovrebbe d’un botto ripagarmi degli sforzi di un anno intero. La delusione non è dietro l’angolo: è in pompa magna e cammina davanti a me!
Il regalo è la scatola.

Meglio aspettarsi il peggio e godere del fatto che non succeda? Oppure, come si dice, l’attesa del piacere è essa stessa il piacere?
Detto più chiaramente: sono le aspettative verso l’altro che rovinano le relazioni o al contrario sono proprio quelle che le tengono in piedi? Se il mio regalo è davvero una scatola, ma le mie aspettative mi obbligano a considerarlo la scatola più bella del mondo, non è meglio? O le aspettative mi faranno credere che un regalo qualsiasi non sarà mai all’altezza del regalo perfetto?

Mi sento un po’ un incrocio tra Marzullo e Carrie Bradshaw e quindi la smetto subito.

La verità è che non c’è una formula, altrimenti qualcuno l’avrebbe già venduta facendoci milioni e adesso sapremmo tutti come comportarci. Però possiamo stare attenti ai sintomi. Se ogni volta che andiamo in vacanza torniamo con la bocca amara e il fegato marcio, o siamo dei cani a organizzarci le ferie oppure ci aspettiamo troppo. Se tutti gli uomini che troviamo non sono alla nostra altezza, o peschiamo nel vivaio sbagliato o le sbagliate siamo noi. Oppure – e questa la piazzo lì come ciliegina sulla torta – non siamo fatte per stare in coppia.

Perché, chi lo dice che una si deve per forza fidanzare? E convivere?
Ho sentito qualche uomo dire che è nella natura della donna trovare un partner a cui appoggiarsi. Vorrei sfatare questo mito: non è un bisogno che ci obbliga, è una scelta.
A maggior ragione l’uomo dovrebbe ritenersi lusingato. La ragione ci direbbe di non fidanzarci, soprattutto in una società che ci permette di avere tranquillamente una indipendenza psicologica ed economica.

In conclusione, non importa se il regalo è la scatola, sempre ammesso che sia la scatola che ci siamo scelte e che effettivamente vogliamo. L’importante è che le aspettative non ci offuschino la vista interiore quando prendiamo una decisione (per chi ce l’ha, una vista interiore).

E adesso… Shawarma per tutti! (cit.)

martedì 19 febbraio 2013

Se non sai chi sei, sallo!

Sì, lo so, un blog come si deve andrebbe aggiornato quasi ogni giorno. La verità è che ogni volta che mi metto al computer mi si riempie la testa di idee da scrivere e non so mai decidere su quale focalizzarmi.
Vorrei dire che non sono organizzata, che vivo nel caos ed è per questo che il risultato non è spesso efficiente, ma in realtà è l’esatto contrario. Io sono super organizzata, solo che non si vede. Sono come la magia del vero fondotinta, che ti trucca facendoti sembrare naturalmente bellissima e struccata. Con la differenza che il mio risultato non è altrettanto eccelso.

Contribuiscono a ciò due mie caratteristiche: la distrazione e il desiderio di essere perfetta. Rientrare nei miei parametri non è facile, sono particolarmente esigente e severa (lo sa bene chi lavora con me) e spesso sono io stessa che non riesco a rispettarli. Per fare in modo che il mio difetto principale non interferisca con il mio obbiettivo, devo tenere tutto sotto controllo.
Sono maniaca del controllo e nonostante ciò, qualcosa sfugge sempre.

Chiedendomi perché, la mia risposta nel tempo è cambiata. All’inizio era semplice: non mi sto organizzando abbastanza. Ho raddoppiato lo sforzo e dopo i primi risultati soddisfacenti, di nuovo un calo del rendimento. Aumento dell’incazzatura e aumento dello sforzo. Fino ad un livello sopportabile umano per le donne (che è notoriamente molto più elevato di quello dei maschi), sono andata avanti così.
Poi, complice un esaurimento nervoso da nonhonemmenolavogliaditagliarmilevene, ho mandato affanculo il mondo.

Vorrei scrivere che è stato allora che ho capito tutto, in verità ci ho messo due anni a uscire dal tunnel e ad essere in grado di riusare il neurone. Perciò diciamo che due anni dopo ho capito tutto. Facevo una quantità di cose infinita e dovevano essere tutte perfette. Ogni volta che aumentava l’organizzazione, io mi dedicavo a infinite cose più una.
In sostanza, alzavo a ogni salto l’asticella.

Faccio così anche con l’abbigliamento. Dimagrisco e finalmente sto comoda nei pantaloni? Compro la taglia inferiore, nella quale sto di nuovo scomoda e di nuovo mi metto a dieta.
Senza sfociare nella trattazione dei DCA, la verità è che non sono mai soddisfatta.
Ho scoperto che questo è un atteggiamento mentale che alcuni hanno e altri no, che non è di per sé un male ma di cui bisogna essere consapevoli se si vuole stabilire una tregua con se stessi. Ho scoperto anche che molte persone non hanno idea di come realmente sono fatte e si affidano al giudizio degli altri.

Per esempio di me si direbbe che non sono organizzata. Ma l’opinione altrui è filtrata dal modo in cui gli altri vedono se stessi e spesso fare una media non basta.
E quindi? Bisogna per forza passare attraverso un esaurimento nervoso per imparare a capire come siamo davvero e fare un percorso interiore sincero? Di sicuro aiuta ma gli effetti collaterali sono terribili. Però è anche vero che si cresce più in fretta nel dolore e spesso nella felicità invece si regredisce.

Non ho la ricetta (altrimenti l’avrei già venduta e ora farei soldi a palate), ma posso augurarmi che i momenti difficili non vengano sprecati. Certo, un calcio nei denti è sempre un calcio nei denti, anche se metaforico, e lascia un tantino frastornati all’inizio, ma può essere più utile di una carezza.

Da questo ragionamento ci ho anche guadagnato in coraggio: non ho più paura delle conseguenze delle mie scelte, perché comunque vada ne uscirò migliore.

domenica 6 gennaio 2013

Superhumans

Ci vuole un supereroe. Niente storie (come direbbe Kate, la sciacquetta del dottor Daniel Pierce – quel bellissimo attore che ha fatto anche Will con una certa Grace, Eric McCormack e che Santa Wikipedia mi dice essere un attore canadese, di origine scozzese e Cherokee! E STIKA non ce lo vogliamo mettere? – insomma, 'sta sciacquetta direbbe “Cut the ballshit!”), ci vuole proprio un supereroe, uno di quelli alla Marvel, un po' tormentato, ma anche definitivamente fuori dal comune, di quelli che vivono più vite in mondi paralleli e quando saltano dall'una all'altra non sanno distinguere bene i mondi e fanno casino. Mi serve un supereroe con le palle quadre e pelose (le questioni tecniche di ingombro sterico si possono risolvere di volta in volta esercitando la creatività umana...), che mi faccia completamente, totalmente, assurdamente perdere la testa oltre il punto di non ritorno.

L'ho detta bene?
Non trovate che strida un po' come il classico gessetto nuovo sulla lavagna (di una volta, le lavagne fatte di lavagna, cavolo! Mica 'sti surrogati di oggi in cui il nero lavagna è verde lavagna, blu lavagna, rosso lavagna...)?
Infatti.

Se non ci siete ancora arrivati ve lo svelo io: tale supereroe non esiste. E' un personaggio inventato, la sua vita è reale solo nella mente di chi lo guarda. Un po' come quello che si dice dei Maestri che lo sono unicamente se hanno degli Allievi... Bella scoperta! Non è che sto cadendo anche io nell'errore di aspettare il Principe Azzurro?
Ok, più e più volte, sono precipitata dalle altezze del castello incantato ai freddi pavimenti di casa mia. Ma tante cadute di faccia sul marmo mi hanno insegnato qualcosa (gli errori hanno senso solo se ci insegnano qualcosa, altrimenti meglio non sbagliare – sembra Massimo Catalano, hè?) e cioè che il supereroe sono io.

Modestia a parte, intendo dire che sono io a vederlo, non lui ad esserlo. Se aspetto di trovare quello che oggettivamente abbia dei super poteri, sto fresca. E dato che io sono freddolosissima, ho cambiato strategia. In questo mi aiuta moltissimo il cervello delle donne, che è fatto veramente di schifo – per immensa fortuna degli uomini – e riesce ad attribuire al maschio (ma credo che valga anche per le donne che amano le donne) qualità inesistenti o presenti a livello embrionale. E non intendo solo pregi del carattere – sarebbe troppo facile, basta dire “tu non lo conosci abbastanza!” a chi non è d'accordo – parlo anche di caratteristiche fisiche! Ecco che un cesso immenso diventa 'un tipo interessante' (ok, proprio fesse no) e uno che non sta zitto un momento 'ha carisma'.

Basandomi su queste premesse assiomatiche (come direbbe Sheldon che purtroppo per me è gay, ma tanto non lo incontrerò mai) ho calcolato di avere qualche possibilità di imbrogliarmi a sufficienza, se mi impegno con costanza, e riuscire ad ingannare il mio cervello abbastanza da trovare il mio supereroe! Sto già facendo esercizi (guardo foto di attori brutti e dico che in fondo non sono poi così male; cerco di frequentare conoscenti noiosi e scorbutici, provando a trovare almeno un motivo per le loro esistenze moleste...).

Nel mio piano però c'è una falla, una falla immensa e che sta però alla base della sopravvivenza del genere umano. Se funziona troppo, rischio di convincermi che un pirla all'ennesima potenza sia un supereroe, un po' come quando sogni e sei sicurissimo che invece sia tutto reale! Quando ti svegli – perché ti svegli, succede sempre, il punto è 'il quando' – ti ritrovi accanto questa creatura assurda che nel frattempo ha allontanato tutte le tue amicizie intelligenti (che giustamente non hanno voluto avere più niente a che fare con te) e la tua vita ti sembra una merda.

E quindi?
Non è così tragica come mi piace dipingerla – vero? – e confido nel fatto che la mia mente non sia poi così ottenebrata dalla voglia di avere un supereroe da non vedere i semi della disfatta. L'equilibrio però è precario, le donne (almeno alcune) si barcamenano continuamente tra il 'crederci ciecamente' e il 'rendersi conto del baratro'. Come possiamo salvarci, sopravvivere, far progredire la razza?

C'è un salvagente fantastico che ci aiuta, nel bene e nel male, facendoci notare gli aspetti negativi ma anche quelli positivi che non siamo in grado di vedere: le amiche. Loro sono la forza che muove il mondo (altro che sesso e soldi! Che però vengono subito al secondo e terzo posto...).
Questa verità porta almeno due conseguenze dirette. Primo: gli uomini non dovrebbero temere così tanto che la papabile fidanzata frequenti spesso le amiche, se la storia funziona loro sono l'agar che fa crescere la colonia! Secondo: sei le amiche che hai. Cazzo se è vero!
E considerato le amiche che ho io, sto in una botte di ferro!

martedì 1 gennaio 2013

Rottami

L'altro ieri mi è capitato di vedere uno spettacolo del poliedrico comico Gioele Dix, uno dei migliori che abbiano mai avuto successo in Italia. Ha parlato per mezz'ora di una cosa sola – facendomi peraltro scompisciare dalle risate – di un insignificante particolare che troviamo sulle carrozze dei treni e che d'ora in poi non riuscirò mai più a ignorare: la scritta di avviso sui finestrini.
No, dico, si può fare uno spettacolo di mezz'ora su quello, senza risultare noiosissimi? Si può.
Far ridere è un'arte, senza dubbio, e lui la padroneggia molto bene; lui è geniale. Ma non è di questo che vorrei 'dissertare' in queste righe.

Gioele Dix mi ha fatto riflettere sulle prospettive, sui punti di vista. La realtà in cui ognuno è immerso come un biscottino inzuppato nel latte caldo del mattino è densa, stracolma di particolari, idee, pensieri, fatti, azioni, persone, oggetti, sensazioni, desideri, ambizioni... ci sono insomma tutti i rottami di cui abbiamo bisogno per costruire il Concorde (non potrò mai togliermi dalla mente la frase di Jeff Bridges, nemico di Ironman nonché suo ex socio in affari, che si riferiva alla realizzazione della mitica armatura: "Tony Stark è stato capace di costruirla in una grotta, con una scatola di rottami!").
Allora perché non lo costruiamo? La verità è che filtriamo ciò che non ci interessa dal nostro punto di vista. Così come non avevo mai notato l'assurdità intrinseca del messaggio d'avviso sui finestrini del treno – mentre ora mi è chiarissima grazie a questo strappo nel mio cielo di carta (Pirandello) – allo stesso modo quante altre cose fikissime ignoro volutamente?

Ma il punto è un altro, veramente.
Non è che non costruiamo l'armatura perché non sappiamo che la ferraglia che abbiamo davanti potrebbe realizzarla; in realtà non vediamo affatto l'armatura, non è un nostro obbiettivo. Coelho ha scritto molte cose – la cui stramaggioranza trovo di una banalità tanto imbarazzante quanto ovvia – ma una mi è rimasta impressa più delle altre: quando vuoi veramente qualcosa tutto concorrerà affinché tu la ottenga. Parafrasando, in giro c'è tutto quello che ci serve, basterebbe ammettere che ci serve.

E allora smettiamola di frignarci addosso lamentandoci che la vita non ci ha dato abbastanza, che le circostanze non ce lo consentono, che siamo stati sfortunati. Il segreto irrivelabile è che ce lo siamo negati da soli. Siamo noi gli stronzi per noi stessi.

Detto ciò, il 99,99 percento di noi comunque non costruirà il Concorde che dice di desiderare - e io probabilmente sono tra quelli. Assurdamente, non è la realizzazione il problema, ma la focalizzazione. Rispondere sinceramente alla semplice domanda "Cosa vuoi?" è la cosa più difficile del mondo. Siamo molto più bravi a dire cosa non vogliamo, siamo dei veri fenomeni nel rovinare i progetti altrui, imbattibili nel far incazzare il prossimo fingendo di non averlo fatto apposta, scansare le colpe e le responsabilità, veleggiare sull'onda incuranti della direzione. Preferisco non scoperchiare questo vaso di Pandora.
Solo uno spunto di riflessione: nel farci del male, cosa ce ne viene?

Giusto per rovinarvi il piacere di guardare il pezzo di Gioele Dix sui finestrini, il messaggio in italiano è: "E' pericoloso sporgersi"