giovedì 30 gennaio 2014

Sono una ragazza all’antica

Sono una ragazza all’antica, mi piace il libro di carta.
Sono affezionata al gesto di sfogliare le pagine, preferisco quelle in carta ruvida di un certo spessore. Mi piace fare le orecchie per marcare il segno dove sono arrivata e detesto i segnalibri che cascano in terra appena apri il punto giusto. Mi piace usare una matita per sottolineare i passaggi che mi hanno colpito e potermeli rileggere dopo. Commento a margine, tra le righe, sopra e sotto.
Apprezzo sentire il peso del volume che mi sto portando dietro e non mi infastidisce se chi mi sta intorno capisce di che cosa si tratta sbirciando la copertina. Immagino anzi gli sguardi sconvolti quando si accorgono che una bionda (in rosa) legge Hawking, Penrose, Feynman.
Perché la cultura è affascinante ma ancora di più lo è la scienza teorica, quel mondo all’apparenza infinito, che muta rapidamente forma insieme alle sue teorie. Perché gli esploratori dell’ignoto non sono quelli vestiti come Indiana Jones, ma sono cervelli divini racchiusi in corpi a cui, talvolta, non daresti la minima attenzione.

Sono una ragazza all’antica, mi piace chi pensa con la propria testa.
Chi usa tutta quella piccola percentuale di neuroni del nostro cervello che gli studiosi dicono al massimo siamo in grado di sfruttare. Chi non si ferma davanti alla prima risposta ma nemmeno alla seconda o alla terza. Chi vuole capire davvero.
Sposerò l’uomo che riuscirà a spiegarmi la Statistica facendomela amare!
Perché stiamo omologando le menti. Il luogo comune non è più retaggio della saggezza popolare, è proprio il deserto dell’intelletto. La banalità è la via del successo sociale. Perché in un mondo di mediocri, l’eccellenza non può essere compresa, né incoraggiata.
Perché abbiamo fatto in modo che Questi Tempi non richiedano la nostra parte migliore e non stiamo facendo niente per inventare Altri Tempi (per chi se ne è accorto, è una diretta citazione di Baol, Stefano Benni).

Sono una ragazza all’antica, mi piace l’onestà di intenti.
Mi piace avere un obbiettivo che appassiona, per il quale consumare energia, avere una strada da percorrere che conduca alla costruzione di qualcosa e non alla sola affermazione di sé.
Perché siamo ciò che siamo indipendentemente dal contesto, sminuire l’altro non eleva il proprio io. Perché abbiamo smesso di misurarci con noi stessi e siamo incapaci di darci un valore, ci guardiamo attraverso il vetro sporco dell’invidia. E per emergere in un campo di merda bastano anche 10 centimetri, ma la puzza si sente lo stesso.

Sono una ragazza all’antica, mi piace la verità.
Anche cattiva, anche dura, anche se fa male.
Mi piace chi ammette la verità e ne accetta le conseguenze. Mi piace chi non nega i propri limiti perché averne coscienza è già in parte superarli. Mi piace chi affronta ogni cosa senza mistificare.
Perché le bugie peggiori le diciamo a noi stessi e solo a noi nuocciono davvero. Perché farti amare per ciò che non sei è una condanna, non una conquista.

Sono una ragazza all’antica.
Non mi piace questo oggi approssimativo, la meritocrazia ipocrita, il rispetto spannometrico.
Mi arrabbio se un giornalista sbaglia un congiuntivo, perché non ha considerazione per i suoi lettori; mi arrabbio se la stagista non cura la formattazione, perché la cialtroneria è sintomo di menefreghismo. Che parte nel piccolo, dentro di noi, e dilaga nella massa quando anche un rutto diventa poesia.

Sono una ragazza all’antica e sinceramente sono anche un po’ stufa.

lunedì 20 gennaio 2014

Spleen

La tristezza è una cosa relativa. In fondo alla fine potrebbero essere solo ormoni. Alle donne questo concetto è estremamente chiaro: non serve un motivo ‘reale’ per sentirsi tristi, basta che l’umore vada a puttane per mezza giornata e il gioco è fatto. Ma non è forse un motivo reale anche questo? Perché la causa chimica dell’infelicità viene non soltanto declassata a motivazione inesistente, ma addirittura considerata negativamente?
E questo ci penalizza davanti agli uomini? O dovrebbe farlo?

Sarò controcorrente ma io ritengo che sia il contrario. Da secoli noi siamo biasimate ma anche giustificate ad essere assurdamente infelici in certi momenti del mese, oppure depresse ‘senza una ragione’, o soggette a cambiamenti di umore improvvisi (ve li spiego io: una fa finta che vada tutto bene e sia tutto perfetto fino a che a un certo punto la diga crolla e la valle si allaga completamente di lacrime). E loro, i maschi? I loro ormoni sono come orologi svizzeri? Il loro cervello è sempre così pragmatico che non si inventa mai un dolore che non c’è? L’insoddisfazione in loro genera sempre voglia di rivalsa e nuova energia e mai malinconia e frustrazione?
Ma dico, stiamo scherzando? Mi stai a pigliare per il mioponfettoamandolinoinfondoallaschiena?

La verità è che esprimere tristezza immotivata è una debolezza che l’uomo non può permettersi. In primis, non piange mai. In secundis, se proprio versa qualche lacrima è perché si è rotto tibia e perone in un contrasto duro a calcetto o è morto il mentore della sua vita. Figuriamoci cosa accadrebbe se ammettesse di essere infelice ‘per i mali del mondo’! Perculamento a vita. Eppure deve sfogare questo dolore in qualche modo, un essere umano normale è come un serbatoio: senza il tubo del troppopieno esplode. E dunque cosa fa? Porta agli estremi le vie legittime che gli sono concesse.

Ecco che l’uomo non avrà mai ‘un raffreddore’: o è un lieve malessere irrilevante o è in punto di morte.

Eppure, se solo gli uomini sapessero quanto è stramaledettamente figo un uomo che confessi d’essere triste, abbracciando una sorta di empatia universale che, come un’onda, ora ti mostra le stelle, ora ti getta nell’abisso! Mica solo i poeti hanno l’esclusiva!
Evitiamo d’arrivare al Male di Vivere, però, accettabile solo se supportato da una estrema sensibilità, che negli altri casi si chiama depressione e vittimismo mischiato al narcisismo ferito.

Eh, ma allora non ti va mai bene niente!

Tipica affermazione da maschio. O è bianco o è nero. Ma secondo voi, una donna che ha qualche momento di spleen deve per forza essere depressa? E non può essere lo stesso per l’uomo?
Quanto è sexy un uomo che ammetta di non sapere tutto, ma di avere la voglia e l’energia per imparare? Quanto è affascinante un uomo che confessi di non capirti ma di amare il tuo mistero? E di rispettare che a volte sei giù e vuoi solo che qualcuno stia con te senza pretendere?

Scherzando sempre sostengo che il maschio è una razza inferiore. La verità è che siamo incompatibili, profondamente e assurdamente incompatibili. Ed è questo il bello! Far funzionare le cose, facile nei momenti up quanto complesso nei momenti down. Ma lì sta la magia.

La verità è che vorrei avere il diritto di non essere sempre un vulcano di energia positiva e riuscire ad essere apprezzata anche in quei momenti, perché sono sempre io, sempre la medesima svalvolata ed eclettica bionda. Forse se i maschi si accettassero di più, apprezzerebbero di più anche noi.